Cosa vuol dire socialismo nel XXI secolo?

di Franco Cavalli

 

Nancy Fraser è una nota filosofa femminista americana, professoressa alla New School for Social Research di New York, conosciuta a livello internazionale soprattutto per la sua accesa critica delle politiche identitarie e per i suoi lavori sul concetto di giustizia.

Ho pensato di fare una recensione di questo agile libretto di neanche cinquanta pagine, che si leggono in un paio di orette, perché i temi che vi sono sollevati sono in stretta relazione con l’ampio programma di formazione interna che il ForumAlternativo sta preparando, nella speranza che ci si possa ritrovare presto in presenza.

 

L’autrice parte dalla costatazione che, almeno negli Stati Uniti, la parola “socialismo” è stata a lungo quasi una bestemmia o perlomeno una reliquia di un’era passata, mentre oggi politici molto popolari e diverse organizzazioni che si definiscono con fierezza socialiste stanno guadagnando un ampio consenso. Naturalmente l’autrice è ben cosciente del fatto che in poche paginette non si possa discutere a fondo di cosa sarà o dovrebbe essere il socialismo nel XXI secolo, per cui si limita a descrivere alcune piste fondamentali, che dovrebbero permettere, assieme naturalmente ad una corretta prassi politica di lotta, di arrivare a chiarirsi le idee.

 

Sin dall’inizio Fraser mette in chiaro che “la visione del socialismo che emerge da questo esercizio differisce nettamente dal comunismo in stile sovietico da una parte, e dalla socialdemocrazia dall’altra”. Insomma, un po’ quello che sta cercando di fare anche il ForumAlternativo. Per cercare di dare una nuova definizione di socialismo, l’autrice giustamente parte da un’analisi di cos’è oggi il capitalismo, cercando di allargare quella che lei definisce la visione marxiana tradizionale, che si basa quasi unicamente sulla nozione di creazione di plusvalore grazie allo sfruttamento del lavoro salariato. Per lei questa visione non è da considerare sbagliata, ma sicuramente incompleta. Al riguardo, definisce quattro condizioni non economiche che secondo lei rendono possibile un’economia capitalista.

 

La prima e più importante di tutte è quell’enorme sacca di lavoro non remunerato necessario per la “riproduzione sociale”, di cui abbiamo ampiamente parlato in un numero precedente dei Quaderni (“Dopo la pandemia, avanti verso una società del Care”, Quaderno 28), dimostrando che il suo valore, se venisse pagato, è addirittura superiore a quello del lavoro salariato.

La seconda è tutta quella ricchezza prodotta con il lavoro di tipo “schiavistico”, che come aveva dimostrato Marx era stato indispensabile all’inizio della storia del capitalismo, e che purtroppo è ancora lungi dall’essere scomparso.

Una terza condizione “non economica” è rappresentata dallo sfruttamento della natura, che il capitalismo considera come fonte di doni gratuiti.

L’ultima è riassumibile nella grande quantità di beni pubblici che gli Stati regalano bellamente ai poteri forti dell’economia capitalistica.

Ognuna di queste quattro condizioni rappresenta un presupposto indispensabile per garantire che l’economia capitalista sopravviva, per cui il futuro assetto socialista non dovrà cambiare “solo” il motore centrale dell’economia (il lavoro salariato) ma l’intero ordine sociale istituzionalizzato che la società capitalista ha costruito.

 

Per ognuna delle quattro condizioni “non economiche”, l’autrice presenta alcune proposte semplici, ma fondamentali per come si potrebbe cominciare un’opera di radicale trasformazione in senso socialista dell’ordine costituito. Non ho lo spazio qui per approfondire queste proposte, che come nella tradizione della sinistra anglosassone sono formulate in modo molto chiaro. Sottolineo però questo per il lavoro teorico attualmente in corso nel ForumAlternativo, come questa visione ampliata del capitalismo riveli chiaramente la tendenza intrinseca nel sistema alla crisi ecologica, dandosi il capitale un gran da fare per cercare di pagare un prezzo nemmeno lontanamente comparabile al vero valore dei contributi che si accaparra dalla natura non-umana.

 

Fraser conclude dicendo che sarà necessario invertire le attuali priorità: dove le società capitaliste subordinano l’imperativo della riproduzione sociale ed ecologica alla produzione di merci, il socialismo dovrà capovolgere l’ordine: trasformare la cura delle persone, la salvaguardia della natura e l’autogoverno democratico nelle priorità sociali massime, più importanti dell’efficienza e della crescita. Dovrà quindi mettere in primo piano proprio quelle questioni che il capitalismo relega in un angolo.

 

Nelle ultime pagine Fraser lancia anche la discussione su quale può essere il ruolo del mercato in una futura società socialista e propone una semplice formula: niente mercati in cima, niente mercati alla base, ma possibilmente qualche mercato nel mezzo. Con “in cima” intende la destinazione del plusvalore sociale e le decisioni fondamentali per quanto riguarda la struttura economica della società. Per “la base” intende tutti quei bisogni essenziali (dall’educazione e la sanità ai trasporti e al tempo libero) che devono essere garantiti gratuitamente come beni pubblici. Mentre nello spazio intermedio potrebbe trovare spazio un certo “socialismo di mercato” assieme alle cooperative, ai progetti autogestiti e alle comunità autonome. Una proposta interessante e che secondo me non è molto diversa da quella che propone, almeno come visione per il futuro, la leadership cinese.

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