Sui brevetti farmaceutici Biden apre una porta. A noi sfondarla!

di Franco Cavalli

 

La reazione furibonda dei grandi colossi farmaceutici alla decisione dell’amministrazione Biden di sostenere, almeno in questo periodo pandemico, una revoca temporanea dei brevetti sui vaccini contro il COVID-19 dimostra che si tratta di un passo politico che potrebbe avere enormi conseguenze. 

 Ma per coglierne la portata, dobbiamo fare un passo indietro.

 

Negli ultimi decenni abbiamo assistito ad un’esplosione dei prezzi dei farmaci: basti pensare che per quanto riguarda i farmaci anti-tumorali, il loro prezzo medio è aumentato di 50-60 volte negli ultimi 25 anni! Questa evoluzione ha parecchie cause. Da una parte i colossi farmaceutici guardano ormai solo alla shareholder value: cioè fanno tutto il possibile per aumentare al massimo il loro valore borsistico, ciò che richiede una massimizzazione del profitto a breve scadenza. Si concentrano quindi solo sui cosiddetti “blockbusters”, cioè quei farmaci che possono avere un mercato di almeno un miliardo di dollari ed un margine di guadagno enorme. Non per niente l’ex CEO di Novartis Daniel Vasella, senza vergognarsi, ha riconosciuto che le grandi industrie farmaceutiche si sono trovate impreparate alla pandemia, in quanto i vaccini, che hanno un margine di profitto ridotto (salvo quando scoppia una pandemia!), non le hanno mai interessate.

 

La causa principale è però legata alle decisioni dei presidenti repubblicani statunitensi, che da sempre hanno avuto big pharma come sponsor principale per le loro elezioni, i quali hanno annullato qualsiasi legge che permetteva al governo di Washington di controllare il prezzo dei farmaci. Negli USA quindi i monopoli farmaceutici possono ora fare il prezzo che vogliono, e ciò ha conseguenze per tutti i paesi, in quanto il prezzo statunitense diventa poi quello di riferimento per tutto il mondo, dato che il mercato nordamericano rappresenta spesso il 50-60% del mercato mondiale per i farmaci più cari.

 

Il risultato di questa evoluzione lo si vede nei bilanci dei colossi farmaceutici: il loro tasso di profitto si aggira sempre sul 20-25%, di gran lunga al di sopra di quanto si registra nelle altre branche industriali. Guadagni simili sono possibili solo grazie alla protezione assoluta dei brevetti, che per periodi variabili, ma spesso di 20-25 anni, non permettono l’entrata sul mercato dei generici, che d’abitudine costano dozzine di volte meno che i prodotti originali, pur essendo assolutamente uguali.

 

Il diritto internazionale, in base alla Dichiarazione di Doha, permette agli Stati di non rispettare la protezione garantita dai brevetti se ci sono delle circostanze “eccezionali che lo richiedono” grazie alle cosiddette “licenze obbligatorie”. Mandela era riuscito ad applicare questo principio per i medicamenti contro l’AIDS in Sud Africa, a prezzo però di una serie di processi che ebbero un’enorme pubblicità. Lula ha più volte minacciato di fare lo stesso se non fossero stati abbassati alcuni prezzi: l’ha spesso spuntata, ma probabilmente questa è stata una delle ragioni per cui il capitalismo più retrivo gliel’ha poi fatta pagare. L’anno scorso Public Eye ha lanciato una grande campagna, domandando al Consiglio Federale di richiedere delle licenze obbligatorie che permettessero l’uso di generici per certi farmaci anti-tumorali, i quali possono costare sino a 150’000 franchi all’anno per paziente. Come ci si poteva aspettare, il nostro governo si è ben guardato dal prestare la minima attenzione a questa proposta.

 

Di fronte alla richiesta rivolta all’OMC dall’India, dal Sud Africa e da molti altri paesi del sud del mondo di sospendere la protezione dei brevetti per i vaccini contro il COVID-19, l’Unione Europea e la Svizzera avevano chiaramente indicato che non se ne parlava neanche. Ora invece Biden apre uno spiraglio, che non solo potrebbe permettere di vaccinare il più presto possibile tutta la popolazione mondiale, ma che potrebbe aprire la strada ad azioni simili in altre situazioni particolari. Penso soprattutto al fatto che quasi l’80% della popolazione mondiale non ha accesso ai nuovi e molto efficaci farmaci antitumorali a causa del loro prezzo, quando potrebbe invece usufruire di generici. Si spiega perciò la reazione inferocita dei grandi colossi farmaceutici.

 

Come spiegare la decisione di Biden? Da una parte, per il fatto che l’attuale presidente sta seguendo una linea di politica interna che è la più a sinistra vista negli Stati Uniti dai tempi di Roosevelt, come rilevato da Fabrizio Tonello nell’articolo pubblicato in questo numero, e come tra l’altro aveva previsto Noam Chomsky. Questa svolta a sinistra di Biden è dovuta in particolare alle pressioni popolari, enormemente cresciute negli ultimi anni: si pensi ad esempio al movimento Black Lives Matter, ma anche al fatto che la sinistra democratica sta facendo enormi pressioni sul nuovo governo per mantenere le sue promesse elettorali, e Sanders ed Alexandria Ocasio-Cortez hanno da molto tempo fatto del prezzo dei farmaci un loro tema centrale. Biden e soprattutto Kamala Harris, che probabilmente si prepara già ad una candidatura nel 2024, hanno assolutamente bisogno del sostegno della sinistra democratica. D’altro canto, non bisogna dimenticare la dimensione geopolitica: la “diplomazia vaccinale” è entrata nel vivo, e dopo aver ceduto inizialmente terreno alla Cina e alla Russia, il governo americano si è affidato a questa mossa clamorosa per ritrovare legittimità sullo scacchiere internazionale.

 

Al di là delle scelte strategiche di Biden, ora sta a noi di mantenere alta a pressione affinché la revoca dei brevetti farmaceutici non sia più un’eccezione, ma diventi la norma!

 

 

PS: Confermando la posizione dell’UDC, che da sempre difende a spada tratta i monopoli farmaceutici, il Presidente Guy Parmelin si è affrettato a dire che, con o senza Biden, la Svizzera non ne vuole sentir parlare di sospendere i brevetti farmaceutici anche solo temporaneamente! Alla faccia dello spirito umanitario…

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