IL PAESAGGIO DOPO LA BATTAGLIA

PIAZZA APERTA - Eolo Vive!

 

 Dove andremo, passate le ultime frontiere?

Dove voleranno gli uccelli dopo l’ultimo cielo?

(Mahmoud Darwish)

 

 

Manganelli neri si abbattono sulla bara. La folla schiacciata. Tempesta di calci, fendenti. Manganelli, ancora. Cede quasi, la bara. Profanata. Sulle immagini, il violino slabbrato di Murat Sakaryali penetra nel profondo. 

 

Non ci sarà paesaggio dopo la battaglia. La morale ri-diventa a senso unico e predisposto come ci si comporta. Quale la guerra giusta e quale no. Nella ripetizione storica dell’arroganza del pensiero, c’è chi può e chi no. Ci sono migrantx accolti e migrantx espulsi, sotterrati, deportati. Solidarietà buona e solidarietà cattiva. Vaccinati solidali e non vaccinati assassini. Corpi coccolati e corpi oltraggiati. Armi da consegnare e armi da bandire.

 

Cosa c’entra il funerale della reporter palestino-americana di Al Jazeera, Shireen Abu Akleh, ammazzata vicino a Jenin da un cecchino israeliano con gli esuli ucraini e Noam Chomsky? Carola Rakete con Moni Ovaida e Tito Tettamanti? Non tanto. Eppure il corso non lineare della storia - quello che si mescola e si allarga nelle sue impurezze, quello che si riavvolge a spirale, cerchio concentrico perenne - fa riemergere strane interconnessioni.

 

In un’intervista andata in onda su rete2 (Laser), il giornalista Roberto Antonini, colloquiando con il filosofo statunitense di origini ebraiche Noam Chomsky, esprime una certa indignazione con l’opinione di Chomsky rispetto all’invasione dell’Ucraina. Tanto che, a sua volta infastidito da certa arroganza, il filosofo pone al giornalista un quesito (a cui Antonini non risponde): lei sarebbe disposto a condurre il più orribile degli esperimenti e scoprire così se Putin si arrenderà pacificamente o se userà tutto il suo armamento, che sicuramente possiede, per devastare l’Ucraina?

 

La questione posta riassume un po’ l’idiozia storica di implementare lo stato di guerra permanente e la corsa agli armamenti. Ed è talmente semplice da apparire quasi ingombrante: domandarsi cosa si debba fare adesso è fondamentale (…).

 

Perché comunque, al di là di armi, Nato e diplomazie varie, non occorre essere particolari profeti per capire che coloro che pagheranno le conseguenze del disastro saranno i popoli. E i vincitori saranno – ancora una volta - le grandi industrie degli armamenti e i grandi capitali che vedono l’opportunità di conquistare, distruggere/ricostruire territori, ovvero, creare nuovi mercati di merci e di consumatori, di persone (EZLN, Sull’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo).

 

Secondo una certa visione di “sinistra da salotto buono”, sembrerebbe invece che l’unica via possibile sia quella “di armare l’Ucraina e che si aderisca alla Nato”: Putin è un criminale di guerra malato, “riscrive la storia”, gioca coi nazismi e in fondo “che sarà mai qualche svastica”? Posizioni indignate e monogame espresse ripetutamente pure dallo storico Andrea Ghiringhelli - a cui piace molto l’assioma “Sì Putin=NoVax” - e che, dopo aver battuto per mesi sull’imperativo della gestione securitaria della pandemia, ora taccia chiunque mette in discussione la visione armata di “ipocrisia pacifista”. Simile indignazione emerge pure (alquanto sorprendentemente) in Lorenzo Erroi che attacca in maniera assai irrispettosa (“straparla!”) Moni Ovadia - ebreo, uomo di teatro, musicista, scrittore - reo di sostenere che la crisi si risolve con la diplomazia e non con le adesioni alla Nato e la corsa foriera al riarmo. Ovadia ci dice pure - a proposito delle “svastiche runiche ucraine”, spesso banalizzate: pensate se Hamas in Palestina avesse innalzato delle svastiche dicendo che non è che perché è un simbolo nazista ma per riprendere un simbolo runico, Israele avrebbe cancellato Gaza.

Semplicità disarmanti in un paesaggio scarabocchiato e confuso.

 

E allora sorge spontanea un’altra domanda (sempre parlando di ipocrisie). Partendo dal principio irrevocabile che l’autodeterminazione e l’autodifesa di qualsiasi popolo, persona o territorio che si vogliano liberare dalle maglie del Potere sono concetti fondamentali, e necessari, perché - se si persegue tout court l’armamento degli indifesi - non si pretende con la stessa indignazione di armare ad esempio il popolo palestinese (sui cui territori un progetto dello Stato d’Israele vuole costruire altre 4’000 nuove abitazioni per i coloni)? O il popolo iracheno e afghano? O garantire l’autodifesa al popolo saharawi? O a che punto siamo invece con lo sbandierato armamento dei gruppi d’autodifesa curdi in Rojawa, le cui armi “promesse” arrivano quando non disturbano troppo l’avanzata del governo turco? O che ne è dell’autodifesa del popolo mapuche in Cile, nella cui persecuzione risulta evidente la responsabilità del governo svizzero, che inserì come condizione la sicurezza per i propri connazionali invasori, in quello che fu l’esproprio di terre delle popolazione locale? Tutte rivendicazioni che i difensori della “pace armata” non hanno stranamente mai preteso.

 

Ma a certe domande le risposte balbettano, inciampano e tutto diventa giustificato e giustificabile. E mentre nello stato dell’Ohio, per prevenire (!) le sparatorie il personale scolastico potrà essere armato, i popoli invasi storicamente dal dominio occidentale continuano a essere martoriati dall’avidità predatoria che necessita lo Stato di Guerra Permanente. Tanto che uno dei fautori della guerra globale, George W. Bush, colui che proseguì la guerra d’invasione-esproprio verso territori ricchi di materie prime, in una recente gaffe televisiva, confonde l’Ucraina con l’Iraq e definisce “vergognosa l’invasione irachena” del 2001.

 

Sembrerebbe essere invece l’indignazione a non correre sullo stesso binario, tanto che il suo uso si avvolge a un certo privilegio di comodità. Ce lo testimonia sempre Antonini che - in un’altra intervista su rete1, sta volta con il finanziere-filantropo (sic!) Tito Tettamanti – si dimentica di mettere la stessa verve indignata per le posizioni, le amicizie e gli interessi del finanziere. Anzi, sembrerebbe più preoccupato a smarcare il “caro Tito” dalle magagne, vedasi ad esempio l’invito fatto a Steve Bannon (sovranista d’estrema destra e ideologo di Trump) alla cena-riunione a casa sua a Montagnola: “solo per curiosità – ci dice il Tito - non siamo amici, ma una visitina di conoscenza non la si nega a nessuno”.

 

Solo poco tempo prima era stato invece l’ideologo di Putin, Aleksandr Dugin, a essere invitato per una conferenza a Lugano. Sempre dalla stessa riffa di “fini” pensatori. Dugin, personaggio inquietante, che teorizza la supremazia della razza bianca euroasiatica e che, come Bannon, promuove la teoria della gran sostituzione da parte di popolazioni nere o mussulmane ai danni dell’occidente, trovò una discreta accoglienza in Ticino. Le sue teorie hanno d’altronde una certa diffusione negli ambienti sovranisti nostrani, ad esempio in un altro Ghiringhelli - quello del Guastafeste di Losone - che per mesi sulle pagine del Mattino le ha spinte dando ampio spazio a personaggi quale il candidato alle presidenziali francesi Eric Zemmour o il “filosofo” Diego Fusaro (“bisogna opporsi agli immigrazionisti tipo Carola Rakete perché c’è un disegno nel favorire, da parte del globalismo mondiale, la migrazione di massa per destrutturare la società che mira a privarci della nostra identità”) invitato a parlare in piazza a Locarno dagli “Amici della Costituzione”.

 

Personaggi – anche diversi ma tutti uniti da un sottile file nero - accolti in tutta tranquillità e accondiscendenza mediatica nei salotti buoni del cantone, di cui però - stranamente (vedi sempre Antonini, editoriale laRegione “De-nazificare il Cremlino) – si tralasciano le nostrane amicizie, preferendo riferirsi a quelle altrui. Così le vicinanze di Dugin e Bannon (o non dimentichiamo la criminale di guerra Tzipi Livni accolta dal defunto sindaco Borradori a Lugano durante l’Israel Day) alla fauna sovranista local-insubrica (Gobbi, Foa, Fallico, Mascetti, Etter, Tettamanti, Quadri, Piazza, il defunto Borradori, ecc.) e i cui intrecci sono stati rimarcati in un articolo di Repubblica (https://repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2019/10/12/da-lugano-al-metropol-la-rete-sovranista-di-salvini10.html) poi ripreso anche dal ForumAlternativo (Fascismo-russo-e-svizzera), vengono “dimenticate” in quanto il marcio è sempre preferibile lasciarlo lontano dall’orticello.

 

Che c’entra infine Carola Rakete in tutto questo? Ospite a Chiasso Letteraria, è stata una delle poche voci ad azzardare un paesaggio non devastato: visioni semplici e chiare (tacciate tra l’altro subito come utopiche dal giornalista del TG nella doverosa introduzione “spieghista” e patriarcale) rispetto a migrazioni, razzismo, frontiere, muri, e guerre: credo che quanto si sta facendo per il popolo ucraino mostri cosa si può fare anche per tutti gli altri migranti. In fondo gli statuti garantiti agli ucraini esistono da tempo, e anche i siriani fuggono dalle bombe russe. Il problema è che ancora una volta emerge un razzismo strutturale, che impedisce di accordare gli stessi diritti ad altre persone, magari nere, alle quali non spetta neppure lo stesso livello di indignazione pubblica.

 

Eccome c’entra, Carola. Perché proprio nella semplicità - espressa da una donna, giovane, non legata né alla binarietà di pensiero, né alle grandi organizzazioni – che cerca di rompere il muro di razzismo e di omertà intorno all’assassina questione guerrafondaia e migratoria, si può trovare quell’accelerazione stimolante e fondamentale in un paesaggio sempre più marcato da polarizzazione ed esclusione. Polarizzazione del pensiero ed esclusione di gran parte della popolazioni mondiale.

 

Paesaggio in cui i termini “dignità”, “collettività” e “buon senso” sono talmente offuscati che, difficilmente, dopo la battaglia, si intravvederà qualcosa di luminoso.

 

Già… dove voleranno gli uccelli dopo l’ultimo cielo…