Casse malati: a quando la rivolta?

L'editoriale - Q 40

 

All’aumento dell’IVA, all’inflazione e alla crisi energetica si è aggiunta ora la stangata più micidiale: l’esplosione dei premi di cassa malati, che a livello nazionale aumenteranno di poco meno del 7%, in Ticino però siamo praticamente al 10%, ciò che per la famiglia media ticinese rappresenterà un aggravio annuo di almeno 1000-1500 franchi.

 

È da mesi che i cassamalatari, con stipendi spesso quasi milionari ed i politici al loro servizio, ci preparavano con i soliti discorsi imbonitori a questa notizia ferale. Già in un numero precedente di questo Quaderno avevamo perciò intitolato un articolo “Casse malati: basta bla bla bla”. E puntualmente, all’indomani dell’annuncio ufficiale dell’aumento dei premi per il 2023, abbiamo assistito al solito stucchevole spettacolo: molte lacrime di coccodrillo, un diluvio di proposte fasulle di tutto e del contrario di tutto, politici che sostenevano proposte a cui loro personalmente ed i loro partiti si erano sempre opposti e chi più ne ha più ne metta. In quasi tutti i commenti si è invece cercato di schivare l’oliva, ci si è cioè ben guardati dall’affrontare i veri problemi. Che, semplificando all’osso, sono da ricercare nel fatto che attualmente parecchi guadagnano troppo, talora enormemente troppo, e che poi a pagare la fattura sono soprattutto i ceti meno abbienti. Quindi esattamente il contrario di quanto, a voce più o meno bassa, la maggior parte dei commentatori hanno cercato di farci credere e cioè che il problema principale sarebbe che la gente, ormai troppo viziata, va troppo spesso dal medico.

 

Cerchiamo quindi di fare un po’ di chiarezza, cercando di risalire alle radici del problema, nonostante la apparente complessità della situazione.

 

Cominciamo col dire che normalmente i premi di cassa malati crescono maggiormente dei costi globali del sistema sanitario, a causa del travaso continuo delle spese dal settore stazionario a quello ambulatoriale, nel quale tutto è pagato dalle casse malati, mentre le cure ospedaliere sono a carico dei cantoni per il 55%. Già 20 anni fa Franco Cavalli aveva invano proposto, per correggere questa disfunzione, di usare la stessa chiave di finanziamento per i due settori, facendo gestire il tutto da una regia statale. Ora casse malati e destra economica hanno rilanciato questa proposta, ed il Parlamento ne sta discutendo, ma, udite udite, dando tutto in mano alle casse malati. Sarebbe un po’ come far gestire la revisione del funzionamento della polizia alla mafia.

 

Certo, i costi della salute aumentano e in parte ciò è inevitabile. È però assodato che almeno un 20-30% delle prestazioni fatturate sono inutili: quasi sempre sono i prestatori d’opera a prescriverli e non i pazienti a richiederli. È perciò che gli economisti definiscono il mercato della salute come retto dall’offerta e non dalla domanda. Anche il peggior studente al primo anno di economia già sa che se in un mercato di questo tipo non si controlla l’offerta e si affida tutto alla concorrenza (come si fa da noi), i costi non possono che esplodere. Ricordiamoci, tanto per fare un esempio pratico, di cosa era capitato in Ticino, quando la Clinica Moncucco voleva installare una radioterapia ed il Consiglio di Stato le aveva negato il permesso, dimostrando che gli apparecchi dello IOSI erano sufficienti per il fabbisogno del cantone. Il Tribunale Federale aveva però poi accettato il ricorso della Clinica Moncucco, sostenendo che bisognava rispettare “la libertà di mercato”!

 

Da questo vicolo cieco si potrebbe in parte uscire fissando un budget globale per le prestazioni ambulatoriali con delle tariffe decrescenti: più il prestatore d’opera ne prescrive, meno vengono onorate. Ai pazienti non verrebbe così negato niente, i medici e le cliniche guadagnerebbero però meno. Oggi il guadagno dei medici specialisti nel settore privato sfiora spesso o addirittura va al di là del milione all’anno. Berset aveva timidamente proposto di andare nel senso del succitato budget globale, in vigore per esempio in Canada, che riesce così a spendere la metà, con risultati almeno uguali, degli Stati Uniti, che invece hanno un sistema simile anche se ancora un po’ peggiore del nostro. Parlamento, cassamalatari e gli stessi politici borghesi, che oggi si stracciano le vesti, hanno subito fucilato la proposta di Berset. Un secondo aspetto di cui ci si guarda bene di parlare è l’incredibile esplosione dei prezzi dei farmaci e dei guadagni dei monopoli farmaceutici. Ultimamente Public Eye ha pubblicato una documentazione esaustiva che dimostra come per una serie di farmaci molto costosi il guadagno dell’industria farmaceutica, pur tenendo conto di tutti i costi immaginabili e possibili, superi il 90%. Per rendersene conto basterebbe uno sguardo ai bilanci dei monopoli farmaceutici, che con un tasso di profitto del 25-30% rappresentano il commercio più lucrativo, salvo quello della prostituzione e del mercato della droga.

 

Quando si parla di costi è poi sempre necessario capire chi alla fine li paga: ma di questo aspetto, nel diluvio dei commenti seguiti all’annuncio dell’aumento dei premi di cassa malati, quasi nessuno ha fatto menzione. Ed è facile capire perché. Siamo difatti l’unico paese in Europa nel quale i premi di cassa malati sono uguali per tutti, sia che si tratti del miliardario Blocher o di un postino nella Val di Blenio. Ciò rappresenta naturalmente un enorme sgravio fiscale per i ricchi, che in altri paesi pagherebbero molto, ma molto di più per la copertura delle spese sanitarie. E quindi a farne le spese da noi è la classe media, che invece in altri paesi pagherebbe molto, ma molto di meno.

 

Anche tralasciando una serie di altri aspetti, a questo punto la soluzione ovvia, se si vuole andare alla radice del problema, risulta perciò già chiara. Ci vuole una cassa malati unica e non solo per garantire quella trasparenza che oggi fa totalmente difetto: soltanto con una cassa malati unica è difatti ragionevole unificare il finanziamento stazionario e ambulatoriale ed avere contemporaneamente un sistema di budget globale, che controlli la spesa, come avviene per esempio in Canada. E d’altra parte questa cassa malati unica dovrà naturalmente essere finanziata con premi proporzionali al reddito e alla ricchezza. Questa è la soluzione minima ma necessaria per uscire dal vicolo cieco nel quale ci troviamo.

 

O allora, com’è il caso in molti paesi occidentali, la salute dovrà essere finanziata, come avviene anche per l’educazione, con le imposte. Non c’è dubbio che i cassamalatari ed i politici borghesi si opporranno con tutte le loro forze ad una soluzione che vada in questa direzione. In tal caso non è escluso che anche nella troppo tranquilla Svizzera il popolo scenda poi nelle piazze, magari con i forconi.

 

O allora, in alternativa, possiamo cominciare a prepararci, anche dal punto di vista legale, ad organizzare uno sciopero generale del pagamento dei premi, che sono sempre di più al di fuori dello spirito della legge su cui si basano e quindi, almeno usando il buon senso, sempre meno legali. Perché con gli abusi attuali non c’è dubbio che le stangate continueranno.

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