Crisi bancaria in odore di gangsterismo

di Redazione Quaderni

 

Bertolt Brecht diceva: “Cos’è mai scassinare una banca rispetto a crearne una nuova?”. Con questa battuta il grande intellettuale intendeva sottolineare come da un punto di vista morale sia meno grave assaltare una banca in confronto agli affari “normali e correnti” delle banche, spesso al limite del gangsterismo.

Chi pensa che stiamo esagerando dovrebbe magari anche solo pensare ai molti e concreti sospetti durante la crisi finanziaria del 2007-2008, che ci ha portato ad un passo da un disastro finanziario mondiale peggiore di quello del 1929, secondo i quali per salvare la baracca si sia allora fatto ampiamente ricorso agli enormi fondi del narcotraffico internazionale nascosti in molte banche.

 

Naturalmente nessun organismo giudiziario nazionale o internazionale è mai stato incaricato di indagare se ciò fosse veramente il caso. Ma anche quanto sta capitando ora negli Stati Uniti, con dei fallimenti più o meno pilotati di banche, che vengono poi ingoiate da mostruose superbanche, dovrebbe sollevare più di un dubbio etico, anche se, come abbiamo dimostrato nell’editoriale del numero precedente di questi Quaderni, in fondo tutto ciò dimostra semplicemente qual è la vera natura del capitalismo.

 

Il peccato originale di Credit Suisse

Magari qualcuno pensa che stiamo facendo solo un’operazione di sciacallaggio ideologico: da qui il nostro invito a dare anche solo una breve occhiata alla storia di Credit Suisse (CS) per rendersi conto che non stiamo per niente esagerando. CS fu fondata nel 1856 dal magnate zurighese A. Escher (“Il costruttore del tunnel del San Gottardo”), di cui oggi sappiamo che era stato anche un finanziatore della tratta degli schiavi dal continente africano. Anche questo non ci sorprende più di tanto: è ormai assodato che, senza l’enorme contributo fornito dallo schiavismo all’accumulazione economica primaria, gli Stati Uniti non sarebbero mai diventati poi nel XX secolo la potenza imperialistica dominante. Ma torniamo a CS: anche se ben presto ebbe rappresentanze in varie capitali del mondo finanziario, fu solo nel 1939 che aprì la prima filiale negli Stati Uniti.

 

L’ingresso in grande stile nel settore degli investimenti speculativi iniziò alla grande negli anni 80 del secolo scorso con l’acquisto della US-Bank First Boston. Da lì a Paradeplatz si cominciò a parlare in inglese e ad assumere la mentalità neoliberista americana del “voler guadagnare il più possibile, nel minor tempo possibile e a qualsiasi costo”.

 

La crisi dei subprime del 2008, che aveva durissimamente colpito UBS; aveva in buona parte risparmiato CS, che era molto poco esposta su quel mercato immobiliare americano. Questo aveva però spinto CS a buttarsi ancora di più sugli investimenti speculativi.

 

Una lunga catena di scandali

Nell’aprile del 1977 scoppiò a Chiasso il cosiddetto scandalo Texon del Credito Svizzero (come si chiamava allora CS) che aveva subito una perdita di 250 milioni di franchi a causa di operazioni di riciclaggio di fondi neri italiani avvenute, così si disse almeno, senza l’autorizzazione della direzione di Zurigo.

 

Questo scandalo allora fece molto rumore, anche se a posteriori non rappresenta che un’inezia rispetto a quanto è capitato negli ultimi 10 anni, quando CS è stata travolta da una serie quasi infinita di scandali. Pensiamo solo all’enormità di quanto è capitato in Mozambico, un’operazione colossale di corruzione punteggiata anche da violenze.

 

Nel 2019 ci fu lo Spygate, quando il CEO di CS fece spionare l’ex-capo delle gestioni patrimoniali. Attorno agli anni 20 CS perse miliardi nel fallimento degli US-Hedgefonds Archegos e Greensill. Solo l’anno scorso il gruppo internazionale dei giornalisti di ricerca dimostrò negli “Swiss Leagues” come CS avesse aiutato dittatori e criminali a nascondere e riciclare i loro soldi. Tutto ciò ed altro ancora obbligò CS negli ultimi anni a pagare svariate multe miliardarie. Nonostante ciò, negli ultimi 10 anni la banca ha pagato ben 32 miliardi di boni ai suoi managers, quando nello stesso periodo si sono persi più di 3 miliardi. Secondo un articolo della SonntagsZeitung (07.05.2023) molti boni supplementari non sarebbero mai neanche stati registrati nella contabilità aziendale. Eppure per la FINMA andava tutto bene e il Consigliere Federale UDC Maurer, che avrebbe dovuto essere il capo dei supervisori come Ministro dell’Economia, ancora poco prima di lasciare il suo seggio in Consiglio Federale in dicembre dell’anno scorso dichiarava solennemente che ormai la crisi di CS era superata e che tutto stava andando nel migliore dei mondi.

 

Colpo di stato del Consiglio Federale

Quando poi a marzo la crisi è scoppiata con tutta l’estrema violenza, il Consiglio Federale in varie sedute straordinarie e durante il weekend del 19 marzo ha messo sul piatto del salvataggio di CS (anche se l’ineffabile Consigliera Federale liberale KKS dice che è stata solo un’operazione commerciale!) ben 259 miliardi, la più grande operazione finanziaria mai eseguita dal nostro Governo nella storia elvetica. Ma rispetto al salvataggio di UBS nel 2008, questo colpo di stato è stato ancora più eclatante. Così in una notte, senza nessuna consultazione con il Parlamento, il Consiglio Federale ha riscritto una serie di leggi, tra cui quella azionaria, in modo da poter cancellare ben 16 miliardi di obbligazioni: un’operazione che avrà ancora strascichi legali per anni. E alla fine ha regalato CS a UBS per un piatto di lenticchie, creando così una banca monstre, non solo dal punto di vista economico ma anche da quello politico.

 

Secondo Joe Ackermann, che ha diretto CS negli anni 90, per poi diventare presidente di Deutsche Bank, UBS sognava almeno dal 1998 di mettere le mani su CS. Sempre secondo Ackermann (vedi Standpunkte della NZZ) questa non era l’unica soluzione possibile, come continuano a ripetere i deputati “acquisiti” alla causa di UBS. In particolare, secondo lui erano stati preparati diversi piani che prevedevano, oltre all’iniezione di capitali privati, soprattutto uno smembramento di CS, che avrebbe dovuto vendere il settore investimenti esteri e concentrarsi sul mercato svizzero. Ma sempre secondo lui, durante tutto quel periodo Maurer, FINMA e la Banca Nazionale han dormito o fatto finta di dormire.

 

Perché ci vuole una commissione parlamentare d’inchiesta?

Si può perciò capire la rabbia del Consiglio Nazionale, che a metà aprile con una decisione che non ha precedenti nella storia parlamentare elvetica, ha rifiutato di avvallare l’operazione CS-UBS del Consiglio Federale. Anche se questo enorme schiaffo politico non avrà conseguenze pratiche (perché quanto fatto con il colpo di stato non può più essere modificato: questi sono i limiti evidenti della democrazia borghese) c’è da sperare che questo malumore porti durante la prossima sessione a decidere l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta su tutto quanto è capitato. Se non fosse il caso, il nostro paese diventerebbe definitivamente una repubblica delle banane. Difatti, soprattutto molti deputati borghesi (Liberali ed ex-PPD che assieme all’UDC avevano silurato ogni tentativo di istituire regole più severe per controllare l’agire delle banche) cominciano già a mormorare che forse basterebbe incaricare due commissioni di gestione d’indagare. Tutti sanno però che questo significherebbe semplicemente buttare la palla in corner. Difatti tra i poteri che ha la commissione di gestione e quelli di una commissione d’inchiesta c’è un abisso.

 

Ricordiamo in proposito i risultati straordinari ottenuti, con conseguenze importanti per il funzionamento del nostro paese, da tre commissioni d’inchiesta create dopo altrettanti scandali: quello dei Mirages, quello delle schedature di quasi un milione di persone ed infine quello dell’esercito segreto.

 

Lo scandalo attuale non è sicuramente di una portata inferiore a quella dei tre citati: ANZI! Se il Parlamento non ne volesse sapere, si spera che gli elettori se ne ricordino in ottobre, anche se ormai a tutti diventa sempre più evidente che i poteri del Parlamento, e non solo in Svizzera, diminuiscono continuamente, di fronte allo strapotere dell’influenza sui vari governi dei circoli dominanti capitalistici.

 

Come dimostrato in modo molto esemplare da quanto capitato con la crisi CS e la sua svendita a UBS, a carico naturalmente dei contribuenti.

 

Non lamentiamoci poi se la gente diserta sempre di più le urne, perché “ad ogni modo fanno quello che vogliono”.

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