Verso un mondo senza capitalismo. Intervista a Jean Ziegler, parte terza

di Red

 

Una volta presa coscienza del carattere irriformabile del capitalismo e del fallimento della via riformista, diventa chiara la necessità di costruire un mondo senza capitalismo.

L’emancipazione dell’umanità è uno sviluppo storico inevitabile verso il quale tende, per sua stessa natura, la società capitalista: le sue contraddizioni e le sue ingiustizie spingono gli individui a cercare una società migliore. Nella terza ed ultima parte di questa intervista, Jean Ziegler indica il cammino da seguire.

 

 

 

Intervista a cura di Christophe Koessler, per Le Courrier.

 

 

Parafrasando Churchill, certi considerano che il capitalismo sia il peggiore dei sistemi, esclusi tutti gli altri. Che cosa gli risponderebbe?

Il capitalismo è stato creato dagli uomini, e da loro può essere liquidato. La storia ha un senso. Anche la mia vita individuale. L’emancipazione dell’umanità e l’umanizzazione dell’uomo sono avviate. Jean Jaurès diceva: “la strada è cosparsa di cadaveri ma conduce alla giustizia”. Tollerare la miseria, la tirannia e la distruzione causati dal capitalismo vuol dire negare il senso delle nostre vite e della storia.

 

Quali sarebbero secondo lei gli attori che permetterebbero il passaggio a un mondo non capitalista?

È la nuova società civile planetaria. Questa moltitudine di movimenti sociali che lottano su dei fronti molto diversi: come Greenpeace e il WWF, per salvare quel che resta della natura, il movimento delle donne, molto forte, l’organizzazione Via Campesina, che rappresenta 120 milioni di contadini, Amnesty International, per i diritti umani, o Attac che lotta tra le altre cose contro il capitale speculativo. Potremmo moltiplicare questi esempi quasi all’infinito. Si tratta di organizzazioni che sono nate da delle battaglie concrete. Si incontrano ogni anno al Forum sociale mondiale. È un movimento universale, senza un programma comune, senza linea di partito, senza comitato centrale, ma formidabilmente potente. Vi si ritrovano diverse classi sociali, uomini, donne, tutte le professioni. È una forza straordinaria, più forte di qualunque Stato. Che Guevara scriveva: “I muri più resistenti crollano grazie alle crepe”.

 

Eppure la maggior parte di questi movimenti non avanza un discorso anticapitalista…

C’è stato questo dibattito in seno a Attac France. In effetti, la necessità oggi è di far evolvere la società civile verso una forza d’attacco anticapitalista unificato. È certo, ed è in corso.

 

Quali sarebbero i contorni di una società post-capitalista desiderabile e realizzabile?

Marx diceva: “Da ciascuno secondo le sue capacità, per ciascuno secondo i suoi bisogni”. È l’esigenza che deve presidiare un nuovo contratto sociale. Sappiamo quello che deve avvenire: l’uguaglianza tra uomo e donna, l’eliminazione totale del razzismo e dell’omofobia, l’autogestione e la proprietà comunitaria, la felicità universale, una vita materiale protetta dall’angoscia del domani. Tutto ciò che favorisce l’emancipazione dell’essere umano va bene. È anche certo che lo Stato deve sparire, ogni forma d’obbligo, che sia nella famiglia, tra le nazioni, tra le generazioni, sul luogo di lavoro, deve essere abolita. Quando Antonio Machado, il poeta spagnolo, lasciava Barcellona in fiamme nel settembre 1939, con gli ultimi combattenti repubblicani, fischiettava. I suoi compagni, nella disperazione di fronte alla vittoria fascista, inquieti per il loro futuro incerto di esiliati, non capivano. Da lì è nato il suo poema: “Uomo che cammini, non c’è cammino, il cammino si fa camminando…”. Bisogna essere umili davanti alla storia. Ma l’insurrezione delle coscienze è vicina. Pablo Neruda dà voce alla nostra speranza: “Podrán cortar todas las flores, pero jamás detener la primavera”.

 

 

 

 

 

Fonte: Le Courrier, 21 giugno 2018

Trad. it.: Damiano Bardelli

 

 

Prima parte dell'intervista:

L'oppressione non è riformabile

Seconda parte dell'intervista:

L'illusione del riformismo parlamentare